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ប្រតិចារិក
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Non sarò il primo a predicare nel nuovo locale, ma spero di essere l'ultimo a predicare qui. Non nel senso che poi qui si chiuda, ma per lo meno per la nostra chiesa, la vostra chiesa. È per me una gioia essere con voi, fratelli e sorelle, alla presenza del Signore, per poter insieme celebrare il nostro Dio, e ascoltare la sua parola nella comunione dei santi. Vi porto i saluti della Chiesa Evangelica a Breccia di Roma, che si ritrova nel pomeriggio a Roma. In questa settimana Roma è tornata al centro delle cronache, tristemente, per qualcosa che sapevamo non è qualcosa di nuovo o di sconosciuto. un marciume che c'è nei gangli profondi della città, marciume fatto di corruzione, un marciume fatto di truffe, un marciume fatto di un sistema di potere che legittima i comportamenti all'insegna della furbizia, del menefreghismo e dell'interesse privato elevato a unico interesse da perseguire. Sappiamo che il problema non è primariamente o solamente politico, né amministrativo, né di carattere sociale. Il problema principale, radicale, è di ordine spirituale. È una città che per secoli, per millenni è stata governata in modo diretto e indiretto da un sistema di pensiero, da un modo di vedere le cose imperniato su una cultura malsana e questo è il prodotto, è il sottoprodotto di quella cultura. Noi come parte del popolo di Dio desideriamo essere un popolo di profeti, come ci dice la parola, e quindi persone che parlano, che dicono la verità, la verità del Signore, che non tacciono, che non mettono la testa nella sabbia, ma che parlano, dicono, annunciano l'Evangelo con grazia, con rispetto, ma con tenacia, coraggio, con parresia, con franchezza. un popolo anche di sacerdoti che prega, intercede per la città, che è lì non per fare da turista o solo per pensare ai propri fatti personali, ma è lì per svolgere un ministero di carattere sacerdotale nella preghiera, nell'intercessione, nella presenza che benedice la città. e vogliamo essere un popolo regale, un popolo che vive al proprio interno l'ordine buono e santo di Dio, un ordine non falsato dalle corruzioni umane, ma un ordine redento, riconciliato, in cui si vive in modo responsabile, altruista, solidale, in modo che renda conto a Dio in primo luogo, agli altri nelle giuste proporzioni. Questa è la nostra missione nella città di Roma. L'altra sera il sindaco della nostra città, Marino, in una trasmissione televisiva ha avuto un lampo di genio. ha detto, nella nostra città avremo bisogno di un po' di calvinismo. Mi piace questa cosa qua. Nel senso di dire, lui diceva che la cultura cattolica permette che alle persone che sono oggi incriminate, tra un paio d'anni, dopo essere un po' scomparse dalla scena, essersi un po' nascoste, ammuffate, ritorneranno, perché tutto si copre, no? E tutto si dimentica, basta fare un rito sociale di assoluzione e tutto ritornerà come prima e se dice lui ci vorrebbe un po' di calvinismo, intendeva dire ci vuole un po' di rigore e chi ha sbagliato si faccia da parte e se Dio gli concede si penta e impari a non farlo più, preghiamo che io gli ho scritto naturalmente dopo aver sentito questa espressione, gli ho detto caro sindaco Ha detto una cosa molto importante, sappia che noi preghiamo per lei e la cosa che ha detto noi cerchiamo di viverla, cerchiamo di incarnarla nelle nostre comunità. La parola che oggi leggiamo è dal Vangelo di Giovanni al capitolo 3 dal versetto 22 fino alla conclusione del capitolo un brano conosciuto nella storia del rapporto tra Gesù e Giovanni Battista queste due figure che appartenenti alla stessa famiglia umana si incrociano, si preparano la strada l'un l'altro incontrano e hanno nella prima parte della vita pubblica del Signore hanno un rapporto molto particolare. Questo è un episodio molto conosciuto in cui il rapporto tra Giovanni e Gesù viene messo alla prova, viene testato, viene sottoposto a una verifica. Capitolo tre, versetto ventidue del Vangelo di Giovanni, questa è la parola di Dio. Dopo queste cose Gesù andò con i Suoi discepoli nelle campagne della Giudea. Là si trattenne con loro e battezzava. Anche Giovanni stava battezzando a Enon presso Salim, perché là c'era molta acqua, e la gente veniva a farsi battezzare. Giovanni, infatti, non era ancora stato messo in prigione. Nacque dunque una discussione sulla purificazione tra i discepoli di Giovanni e un giudeo. e andarono da Giovanni e gli dissero, Rabbi, Maestro, colui che era con te di là dal Giordano, e al quale rendesti testimonianza, eccolo che battezza, e tutti vanno da lui. Giovanni rispose, L'uomo non può ricevere nulla se non gli è dato dal cielo. Voi stessi mi siete testimoni che ho detto, Io non sono il Cristo. ma sono mandato davanti a lui. Colui che ha la sposa è lo sposo, ma l'amico dello sposo, che è presente l'ascolta, si rallegra vivamente alla voce dello sposo. Questa gioia, che è la mia, è ora completa. Bisogna che gli cresca, e che io diminuisca. Colui che viene dall'alto è sopra tutti, Colui che viene dalla terra è della terra, e parla come uno che è della terra. Colui che viene dal cielo è sopra tutti, e gli rende testimonianza di quello che ha visto e udito, ma nessuno riceve la sua testimonianza. Chi ha ricevuto la sua testimonianza, ha confermato che Dio è veritiero. Perché colui che Dio ha mandato dice le parole di Dio. Dio, infatti, non gli dà lo spirito con misura. Il padre ama il figlio, e gli ha dato ogni cosa in mano. Chi crede nel figlio ha. vita eterna. Chi invece rifiuta di credere al figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio rimane su di lui. Sin qui la lettura della parola del Signore. Un noto proverbio italiano dice che due galli non possono stare nello stesso pollaio. Il proverbio ci dice della difficoltà che due o più persone, aventi una forta personalità e un'alta concezione di sé e qualche capacità, la difficoltà che queste persone riescano a convivere, a collaborare, a lavorare insieme in modo pacifico. Lavorare insieme, infatti, vivere insieme, tra persone diverse, è un'impresa talvolta impossibile. Le gelosie reciproche, le invidie, le competizioni sfrenate, gli scontri per la supremazia l'uno sull'altro, rendono talvolta la vita impossibile, fino alla rottura del rapporto. Questo è vero in ogni ambito della vita umana, dal matrimonio, quando tra marito e moglie si instaura una insana competizione, al punto da rovinare la relazione di fiducia e di amore, alla famiglia, quando tra fratelli, sorelle, tra cugini, parenti, si instaura una lite, una competizione, una sorta di contrasto continuo su chi debba prevalere sull'altro. Non parliamo poi del condominio, per chi di voi abita e ha l'esperienza di vita condominiale. C'è sempre un condomino che la vuole sapere più lunga e che vuole imporre la propria visione dei fatti. Per non parlare del lavoro, quanti galli ci sono nel pollaio del lavoro? Quanti galli che desiderano avere la supremazia anche quando non ne hanno i numeri, o non ne hanno le facoltà? Per non parlare dell'impegno civico, guardare una trasmissione, un talk show, come si dice oggi, è effettivamente entrare in un pollaio dove tutti parlano bla bla bla bla bla, anzi no, pio pio pio, Dicono la loro sovrastando la parola degli altri, non aspettando, non ascoltando, ma volendo gridare, sopraffare semplicemente l'altro. La vita anche della chiesa, lo dobbiamo ammettere, è talvolta simile ad un pollaio dove galli e galline si contendono il primato del chiasso per prevalere l'uno sull'altro. Ci sono anche i pulcini, ma anche i pulcini fanno piopio e cercano di trovare la loro strada in questo pollaio rumoroso e chiassoso. La vita è spesso contrassegnata da scontri tra galli, che si risolvono in conflitti permanenti o in allontanamenti dolorosi e definitivi. La vita è spesso un vero pollaio, dove tutti cercano di affermarsi contro gli altri, stabilendo un conflitto permanente. L'episodio che abbiamo letto ci spinge alle soglie di un possibile scontro tra Galli nello stesso pollaio, e ci dice che è possibile trasformare un potenziale conflitto in un fruttuoso sodalizio. È possibile trasformare un potenziale conflitto in un fruttuoso sodalizio. Giovanni aveva iniziato a battezzare per preparare la strada alla manifestazione pubblica di Gesù. E ora, dopo che Gesù è stato battezzato e che una voce dal cielo ha confermato e ha dichiarato che Gesù è il figlio di Dio, e dopo che una colomba ha visivamente mostrato che lo Spirito di Dio era su Gesù, alcune persone vanno da Gesù invece di andare da Giovanni, e vanno da Gesù a farsi battezzare, non più da Giovanni. e subito gli amici di Giovanni notano ciò che sta accadendo. Sta accadendo che le persone che prima sarebbero naturalmente andate da Giovanni dal suo gruppo, dal suo clan, si dirigono invece dove sta il gruppo di Gesù. e si accende subito una discussione su chi abbia il diritto di battezzare e da chi le persone debbano andare per essere battezzate, da Giovanni o da Gesù. Sino a quel momento Giovanni aveva operato in un regime diremmo noi di monopolio. Era lui che battezzava, era lui il battista per eccellenza. E non c'erano altri battisti se non lui. Ma in quel momento i discepoli di Gesù battezzavano anche loro. Aveva operato sin lì in una sorta di solitudine, accentrando su di sé l'attenzione. Ma ora venuto Gesù, l'attenzione si sta spostando gradualmente su di lui e inevitabilmente Giovanni sarebbe passato in secondo piano. Lui che aveva avuto il palco il centro del palco per un tempo ad un certo punto venuto Gesù avrebbe dovuto retrocedere e uscire dal proscenio per lasciarlo a Gesù. Il gruppo di Giovanni avrebbe così perso importanza e quello di Gesù sarebbe stato invece più importante. Che cosa avrebbe detto Giovanni? Si sarebbe offeso? avrebbe cercato lo scontro? Si sarebbe spostato in un altro posto per cercare di rifarsi un mercato a sé e a parte, creandosi uno spazio nuovo per sé e per il suo gruppo? Giovanni, sollecitato a rispondere a questo potenziale problema, dà due risposte che sfidano i suoi amici a non entrare nella spirale del conflitto da pollaio e al contrario a vivere serenamente quello che sta accadendo come un segno della grazia di Dio. E queste due risposte sono per noi una buona notizia, un Vangelo, una buona notizia per vivere le nostre diversità non in un modo distruttivo, ma al contrario arricchente e trasformando potenziali effetti distruttivi in benedizioni che arrecano gioia e pace. La prima risposta che Giovanni dà agli amici che lo interpellano a prendere posizione su questo potenziale conflitto è la seguente. Dio dà a ciascuno il suo. Dio dà a ciascuno il suo. Nel rispondere alla questione posta dai suoi amici, Giovanni addirittura, da subito, chiama in causa l'opera di Dio nella vita delle persone. Versetto 27. L'uomo, dice Giovanni, non può ricevere nulla se non gli è dato dal cielo. Giovanni, nell'iniziare a rispondere a questo tema, apre uno scenario ampio, tanto grande da includere il cielo e i doni del cielo riversati sulle persone. Dio fa dei doni agli uomini e alle donne, e prima di ridurre tutto ad una questione personale, Prima di inquinare tutto nell'invidia, prima di buttarsi in uno scontro, Giovanni invita a guardare il cielo e a osservare quello che il cielo, cioè Dio, ha dato a ciascun uomo. Prima di subito entrare in un conflitto di competizione, Giovanni dice Guardiamo, apriamo lo sguardo per vedere se quello che la persona è e ha ricevuto e pretende di essere è qualcosa che viene dal cielo e quindi appartiene ad un dono che Dio ha fatto a quella persona. Prima di dire altro e passare ad altro, guardiamo in alto per vedere se quello che la persona ha ricevuto viene dall'alto. Dio ha dato a Gesù di essere Gesù. Lui è il figlio di Dio. Lui è l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Lui è colui venuto per salvare il mondo. E Gesù ha ricevuto tutto questo dal cielo. Non se l'è arrogato in modo improprio. e se lo ha ricevuto dal cielo, dice Giovanni, noi non possiamo far altro che accettarlo, che onorarlo e che celebrarlo. Se quello che lui ha viene da Dio, è un dono, non una minaccia. È un regalo prezioso, non un pericolo. Gesù ha ricevuto questo dal cielo, Giovanni no. Giovanni ha ricevuto altro dal cielo, e cioè di essere un profeta, e cioè di essere un amico di Gesù, e cioè di essere uno che ha preparato la strada a Gesù. Ma Giovanni non è il Messia, non ha ricevuto questo dal cielo. Gesù sì, Giovanni no. L'importante per lui era di riconoscere che cosa avesse ricevuto lui, Giovanni, e che cosa avesse ricevuto Gesù. Questo era il modo per affrontare la diversità, il potenziale problema, non buttarsi a cacofitto nello scontro, non cercare di prevaricare sull'altro, non rivendicare un proprio spazio contro quello di Gesù, ma di riconoscere quello che Dio aveva dato ed in base a questo riconoscimento accettare la volontà di Dio per viverla in modo come se fosse una benedizione. E se Gesù aveva ricevuto qualcosa di più o di diverso, chi era Lui per metterlo in discussione? Al contrario, Giovanni avrebbe dovuto riconoscerlo come ha fatto e stargli vicino il più possibile, come ha fatto. Cosa ci dice questa risposta di Giovanni? E come può essere una buona notizia che risollevi i nostri tanti conflitti che possiamo avere dalla famiglia alla chiesa, dal condominio alla società, dal lavoro al circolo dei nostri amici? Ci dice che Dio dà qualcosa ad ognuno. Dio dà di essere e di fare qualcosa ad ognuno. Chiamiamolo talento, chiamiamolo delle capacità, chiamiamola una specifica personalità, chiamiamola una sensibilità particolare. Ebbene, ciascuno è dotato da Dio di un patrimonio, di un carnet, di un plateau, di una piattaforma di doni, di capacità, di quello che è e di quello che fa. C'è qualcosa che Dio ha dato a ciascuno. Questo talento va vissuto e va fatto crescere, va sviluppato e va messo al servizio, va fatto fruttare e maturare. va educato e purificato dall'inquinamento del peccato. Ma è qualcosa che il cielo ha dato in maniera sovrana, donando a ciascuno la particolarità del suo essere e la specificità del suo fare. E se il cielo lo ha dato, è un dono di Dio. Questi talenti sono dati in forme diverse, in misure diverse, in combinazioni diverse. Dio, nella ricchezza della sua persona, ha elargito e costantemente elargisce doni diversificati alle sue creature, creandole tutte uguali per dignità, ma diverse per capacità. potenzialità, talenti, sensibilità, è la volontà di Dio l'averci creato diversi, uguali indignità, diversi per sensibilità. Il cielo, cioè Dio, è molto creativo nel distribuire i Suoi doni e nel sbizzarrirsi nel farli. Ci sono due rischi da evitare. Il primo è che noi pensiamo di aver ricevuto di più di quello che Dio ci ha dato. Questo è il primo rischio. Dio dà i Suoi doni dal cielo e il nostro compito è riconoscerli e accettarli e celebrarli, anche se sono dati in misura diversa, anche se a noi non ha dato forse tutto quello che ha dato ad altri, ma comunque ha dato qualcosa. Un rischio è di pensare noi di avere ricevuto di più di quello che Dio ci ha dato. Il secondo rischio è quello di pensare di avere ricevuto di meno di quello che Dio ci ha effettivamente dato. I rischi sono speculari, sono diversi, ma appartengono alla stessa distorsione. O abbiamo una concezione troppo alta di noi troppo alta rispetto a quello che Dio ci ha dato. È come se ci mettessimo addosso un vestito di tre, quattro, cinque taglie più grosse di quella che è la nostra misura. Io sembra di avere la cinquanta come pantaloni, è come se andassi in giro con dei pantaloni della taglia, che so, sessanta. Oversize, sono troppo grossi, non vanno bene, mi cadono. Sono ridicolo. Se andassi in giro con dei pantaloni o con una giacca di tre, quattro, cinque misure in più, sarai ridicolo. Ma questo è esattamente quello che accade a chi pensa di avere ricevuto di più di quello che Dio gli ha dato. Va costantemente vestito come una sorta di pagliaccio, che vestono vestiti oversize, fuori misura, rispetto a quello che Dio gli ha dato. Oppure il rischio speculare è quello di avere una concezione troppo modesta, troppo rimpicciolita, troppo schiacciata di quello che Dio ci ha dato, al di sotto della realtà. Ed è come se, volendosi vestire, noi pretendessimo di voler stare dentro una taglia che oggettivamente non ci sta. Recentemente vanno di moda queste camicie come si chiamano slim fit, cioè che vanno bene però se c'hai la pancia, ragazzi, si vede perché la camicia ti tira, il bottone fa fatica a rimanere dentro l'asola. Ed è come andare in giro pretendendo, se io ho la 50, di vestire un pantalone 40. Ma sarò ridicolo, perché non mi ci sta. Vado praticamente con le pantaloni abbassati, non entrano, non sono per me la la misura non è adatta alla mia corporatura, è troppo piccola, downsize, troppo al di sotto della realtà. E allora capite, o abbiamo una concezione di quello che Dio ci ha dato esagerata, enorme, e vogliamo mettere l'armatura di Saul sulla corpo gracile di Davide non ci sta, è troppo pesante, non riusciamo a portarla. Oppure abbiamo un'idea di quello che Dio ci ha dato troppo rimpicciolito, troppo riduttivo, inadeguato, per difetto rispetto a quello che Dio ci ha dato. Per questo la Bibbia ci invita ad avere un concetto sobrio di noi. Romani, capitolo 12, versetto 3. L'effetto della grazia di Dio, essendo stati giustificati da Dio, essendo stati riconciliati con Dio, essendo stati salvati da Dio, uno degli effetti dell'opera della grazia di Dio nelle nostre vite è di equilibrare quello che Dio ha dato con quello che noi viviamo, ciò che Lui ci ha dato, cioè una visione temperata, equilibrata, realista di noi. Calvino, nell'introduzione alla sua opera principale, L'istituzione della religione cristiana, dice che noi possiamo conoscere noi stessi solo nella misura in cui conosciamo Dio, E' quando conosciamo Dio che noi conosciamo noi stessi. Se non conosciamo Dio, abbiamo di noi o una percezione sovradimensionata, oppure una percezione sottodimensionata. Comunque, in un senso o nell'altro, una caricatura. E' come andare in quelle attrazioni eravamo più piccoli, forse non ci sono più nei Luna Park, nel gioco degli specchi, si entrava in questo padiglione dove c'erano specchi, alcuni dei quali ti facevano sembrare molto più grasso e grosso di quello che eri, ti allargavano, no, questi specchi, oppure si appastava davanti a specchi che facevano diventare o apparire molto magri, quasi delle sottillette, ma erano caricature in un senso e nell'altro. Conoscendo Dio, uno degli effetti straordinari della grazia di Dio è di imparare, conoscendo Dio, ad avere una visione sobria, cioè realista, cioè temperata, di noi. e più ci avviciniamo a quello che Dio ci ha dato di essere, più saremo al posto nostro, e accetteremo quello che gli altri sono come un dono, più che come una minaccia. Al pari di quello che Dio ha dato a noi, Dio ha dato anche agli altri. Nella Chiesa Dio ha dato misure di fede diverse ai credenti, non tutti, facciamo tutto allo stesso modo. Non tutti abbiamo ricevuto una maturità uguale, non tutti abbiamo ricevuto una luce, una chiarezza, una profondità. Il punto non è di competere o di scontrarci, ma di riconoscere quello che Dio ha dato a noi e agli altri. Più è realista questa percezione, meglio la vita della Chiesa rifletterà la straordinariamente varia grazia di Dio. Ciascuno è diverso nel corpo di Cristo, ma se noi conosciamo quello che Dio ci ha dato e lo sviluppiamo, ecco che tutta la Chiesa ne trarrà beneficio, e la presenza degli altri sarà un ulteriore beneficio per noi e per tutti. Avere un concetto sobrio di sé è una delle cose più difficili della vita. Anzi, è una cosa impossibile. se non è filtrata dalla conoscenza di Dio. Non c'è qualche tecnica psicologica che possa aiutare a sgonfiare o a gonfiare a seconda della necessità. È nella misura in cui Dio è conosciuto che Lui normalizza la nostra vita, altrimenti è abnorme, o troppo grande, esagerata, o troppo piccola, ma comunque patologicamente malata. Tutti siamo malati di un cattivo e sbagliato concetto di noi, perché in fondo tutti siamo malati di uno sbagliato e cattivo concetto di Dio. Quando Dio ci conosce, Dio si fa conoscere a noi, ecco che di riflesso e di rimbalzo anche la nostra concezione di noi può essere guarita. Molte persone vivono in modo sovradimensionato, e devono essere portate alla realtà. Altre persone fanno fatica ad emergere, e pensano di non valere niente. Queste devono essere incoraggiate a manifestare quello che Dio ha dato loro. La Chiesa, fratelli e sorelle, la vostra Chiesa, la Chiesa del Signore, è il luogo dove Dio, nel tempo, ci aiuta a correggerci gli uni gli altri, conoscendo lui, ascoltando la sua parola, ci sgonfiamo dove abbiamo bisogno di sgonfiarci e ci rallegriamo nelle cose che Dio ci ha effettivamente dato. La Chiesa è il luogo dove gli uni gli altri impariamo a coltivare un concetto sobrio di noi. La Chiesa sana e il luogo dove chi tende a gonfiarsi sarà invitato con dolcezza e fermezza a sgonfiarsi. Fratello, sorella, Dio non ti ha dato quello. Sì, sobrio, non voler essere o fare qualcosa che Dio non ti ha dato. Sì, sobrio. Non è una competizione, non è un giudizio, non è una squalifica. Dio non ti ha dato questo. Sì, sobrio. Ma la chiesa è anche il luogo dove chi si nasconde sarà esortato a scoprire e a far fruttare quello che Dio gli ha dato. Fratello, sorella, forse Dio ti ha dato questo. Forse Dio ti ha dato di essere questo e quell'altro. Non nascondere, non metterti dietro, non volerti negare. Cresci, fa fruttare, metti al servizio. le cose che Dio ti ha dato. Al centro di questa dinamica c'è la buona notizia di Gesù, che spinge tutti ad essere grati di quello che ciascuno ha ricevuto. Se l'Evangelo non è al centro della vita della Chiesa, la Chiesa riprodurrà le dinamiche del pollaio della vita. dove tutti si scontrano con tutti e dove tutti sono lì armati, certamente nessuno armato materialmente, ma armati per vedere se qualcuno invade il mio territorio e se qualcuno ci prova le armi del conflitto inizieranno a tambureggiare. Questo è il pollaio della vita. Ma dove l'Evangelo è al centro, dove si conosce Dio, si sana e guarisce la propria visione di sé, la Chiesa invece diventa una palestra, in cui le nostre storture possono essere sanate. Se non è così, riprodurrà le dinamiche del pollaio, e questo è purtroppo quello che succede spesso. nelle nostre chiese, così come è quello che succede nelle nostre famiglie, così come è quello che succede nei nostri luoghi di lavoro, dove Dio non è al centro, e la sua parola non guida, che gli amici di Giovanni volevano far scatenare. Nel momento in cui li hanno fatto osservare, guarda, non sarai più tu al centro, ma stanno andando da Gesù. E adesso cosa succede? A noi chi ci guarderà? E noi cosa succede? Noi come faremo i soldi? E a noi chi ti curerà? L'uomo, dice Giovanni, non può ricevere nulla se non gli è dato dal cielo. Fratello, sorella, che cosa ti ha dato Dio? Cosa ti ha dato di essere? Chi ti ha dato di essere? Che cosa hai ricevuto da Dio nella tua persona, nel tuo carattere, nella tua storia, nelle tue competenze, nella tua sensibilità? Che cosa Dio ti ha dato di essere? Come puoi svilupparlo per la gloria di Dio in un modo che non sia sovradimensionato e in un modo che non sia sottodimensionato? Il talento non va né nascosto sottoterra e nemmeno disperso in maniera impropria. Va fatto fruttare, va messo in grado di mettere frutto, di portare frutto. Che cosa devi tagliare perché Dio non ti ha dato? Dove devi potare l'albero della tua vita? Di cose che Dio non ti ha dato. E come invece devi sviluppare quello che Dio ti ha dato, e che tu hai la tendenza invece a nascondere? E poi, che cosa Dio ha dato al tuo fratello, o alla tua sorella accanto? Perché non si tratta solo di avere una visione sobria di noi, ma anche degli altri, e conoscendo Dio, La nostra visione di noi sarà guarita, ma anche la visione degli altri sarà realista, non sovradimensionata, non sottodimensionata, ma sobria, temperata. Cosa ha dato Dio a te? Cosa ha dato Dio al fratello e alla sorella accanto? Se è qualcosa che tu non hai, ma che lui o lei ha ricevuto, ringrazia Dio per averlo dato a lei. Ringrazia. Nessuno può ricevere cose che il cielo non ha dato. Se Dio ha dato al fratello o alla sorella qualcosa che tu non hai, non brulicare nel rimorso e nell'invidia, ma trasformalo in gratitudine al Signore, come Giovanni ha fatto. Io non sono il Messia, io non sono l'agnello di Dio, lui lo è, gloria a Dio. Il mio compito è quello di celebrarlo, è quello di ascoltarlo, è quello di servirlo. Dio mi ha dato qualcosa. Giovanni non si sta buttando a terra. Giovanni sta di essere stato il profeta, di essere stato la voce che Dio ha mandato per preparare la via al Messia. Quello era quello che Dio gli aveva dato. A Gesù aveva dato qualcosa di diverso. Non sentirti minacciato dai doni diversi di Dio. Non entrare subito in competizione, ma metti al servizio ciò che Dio ti ha dato, e tutti intorno a te saranno benedetti. Dio dà a ciascuno il suo. Questa è la prima risposta che Giovanni dà al coesito posto dai suoi amici e che è una risposta dell'Evangelo che è in grado di far tacere le armi dei nostri conflitti e trasformare potenziali conflitti e scontri in occasioni di celebrazione di Dio e di servizio del prossimo. La seconda risposta che Giovanni dà al quesito è questa. Dio chiama a non essere al centro dell'attenzione. Dio dà a ciascuno il suo, ma Dio ci chiama a non essere al centro dell'attenzione. Prima di andare in automatico e sviluppare un'inutile competizione, Giovanni invita a considerare quello che il cielo ha dato a Gesù. non quello che lui pensa, non quello che lui vorrebbe, ma parte dalla prospettiva del cielo e da quello che Dio ha dato all'uno e all'altro. Se quello che Gesù fa e dice è da Dio, noi dobbiamo accoglierlo e non contrapporci ad esso. Giovanni aveva un concetto sobrio di sé. sapeva che Dio lo aveva mandato, non si era montato la testa. Lui sapeva di non essere una minaccia e non voleva scimmiotare quello che non era. Quello gli dava la serenità di accettare la presenza di Dio, non come minaccia, anche se significava per lui non essere più al centro dell'attenzione. Per rinforzare il punto, Giovanni fa riferimento alla risposta evangelica, che libera dai conflitti estenuanti e laceranti su chi debba prevalere e primeggiare, e racconta la storia di un matrimonio. Prima invita a guardare il cielo, e a quello che Dio ha dato, e a stabilire che se quello che Gesù ha ricevuto viene dal cielo, questo è motivo di gratitudine, non di ansietà. E poi racconta la storia di un matrimonio in cui ci sono tanti invitati, ma ovviamente c'è un unico sposo. Una festa di nozze è stata preparata e tante persone sono state invitate a festeggiare il matrimonio di questo sposo. Ma sarebbe una strana festa se tutti gli invitati pensassero di essere anche gli sposi. Una strana festa di matrimonio dove coloro che sono invitati, invece di andare al matrimonio nella consapevolezza di essere invitati alla festa dello sposo, nell'andare a questo matrimonio pensassero di essere loro gli sposi. Sarebbe una di quelle feste di nozze in cui si parte festeggiando e si finisce picchiandosi. Ci sono dei film in cui succede qualcosa, una discussione a tavola magari tra i consuoceri su questioni ancora non risolte, tutto parte a tarallucevino, Poi dopo qualche commento, «Eh, cosa ha detto lei, scusi?» «No, perché...» E parte il conflitto. Sarebbe davvero curioso. Sarebbe una strana festa se tutti pensassero di essere gli sposi. Uno solo è lo sposo. Uno solo è al centro dell'attenzione. Uno solo è il vero protagonista. Tutti gli altri sono invitati, che hanno avuto il privilegio di essere invitati alla festa, ma che sono chiamati a celebrare, a far festa, a rallegrarsi per quello che lo sposo sta vivendo, per quello che lo sposo ha fatto. Noi tutti siamo amici che festeggiano con lo sposo e tra di loro. Ma che sanno che le nozze sono del loro amico? Gesù è lo sposo venuto per celebrare le nozze e invitando i suoi amici a festeggiare con lui. Questo era il modo in cui Giovanni si vedeva rispetto a Gesù. riconosceva quello che il cielo gli aveva dato, ma rinforzava questo considerando il suo rapporto con Gesù come dell'amico nei confronti dello sposo, senza voler rimpiazzare lo sposo, e volendo essere lui quello che non era. Chi crede in Gesù è invitato a fare festa con lui, Ma lui sa, chi crede, o lei sa, che Gesù è il capo della Chiesa. È Lui il Signore di tutti. È Lui colui che ha il primato su tutti. Noi tutti siamo intorno a Lui, intorno invitati al Suo tavolo, a far festa con Lui, ognuno con i nostri doni. ma nessuno sopra gli altri e tantomeno sopra lo sposo. È lui che deve crescere, è lui il centro dell'attenzione e noi dobbiamo diminuire e trovare il nostro posto adeguato a quello che Dio ci ha dato. Tutti noi abbiamo un irrefrenabile sindrome dello sposo o della sposa, cioè Tutti noi pensiamo di essere noi al centro del mondo, e in modo sottile, o a volte non tanto, pensiamo che Gesù sia invitato nel nostro mondo, essendo noi, però, le cose che occupano la scena centrale. Questa è una sindrome peccaminosa che va confessata e superata. Dobbiamo riconoscere invece in lui lo sposo. E noi intorno a lui, la nostra città, i nostri vicinati, la nostra nazione, il nostro mondo, è pieno di persone che si ritengono sposo, lo sposo, la sposa, al centro della vita, del mondo, delle cose. E quando uno si ritiene al centro, vede l'altro in una posizione di competizione, di conflitto. perché è uno scontro per chi deve stare al centro. Gesù ci dice che lui è lo sposo, l'unico sposo, tutti noi siamo invitati, amici dello sposo. ma chiamati a celebrare e a far festa con lui. Questa parola evangelica è allora contro-culturale, va contro la sindrome dello sposo e della sposa, e invita la Chiesa ad essere il luogo in cui la festa di Dio, imperniata sulla centralità e la signoria di Cristo, sia una festa in cui tutti noi partecipiamo, non in modo conflittuale e competitivo, ma partecipando alla variopinta festa di Dio, in cui lo Sposo è Gesù Cristo. Sì, è vero, siamo tutti unici e importanti, ma Gesù Cristo è il primo e l'ultimo, è Lui solo il Signore e il Redentore, è Lui solo lo Sposo venuto da Dio. per dare la sua vita per la sposa e per celebrare queste nozze nella gloria del padre. Al centro della storia Non ci sono io e, scusami, non ci sei nemmeno tu. Ma è Gesù che ti chiama e ci chiama a stare con lui, intorno a lui, in sua compagnia, chiamandoci addirittura amici, amici dello sposo, invitati alla festa di nozze, a festeggiare con lui l'opera della salvezza. Questo libera i credenti dal desiderio di protagonismo, dal desiderio di prevaricazione, dalla volontà di potenza gli uni sugli altri, ed educa la Chiesa a vivere, sapendo che Gesù viene dal Cielo ed è Lui sopra tutti. Se Gesù non è riconosciuto come lo sposo intorno al quale i suoi amici si raccolgono, la festa di nozze si trasformerà ben presto in uno scontro da pollaio. Gesù è il primo. Noi certamente siamo importanti, ma Gesù è il primo. Senza di Lui tutto si ferma. Senza di noi tutto va avanti se c'è Gesù. Se impariamo per grazia questo, la vita della Chiesa non sarà un luogo dove combattere per primeggiare, ma sarà un anticipo di una festa servire e gioire, e dover allegrarci per il fatto che Dio ha distribuito i Suoi doni in modo creativo e colorato. Ognuno di noi è prezioso se vive ciò che Dio gli ha dato con modestia, umiltà e considerazione degli altri. Ed è grazie al Messia, a Gesù Cristo, alla Sua venuta tra di noi, e alla sua opera e la sua bellezza sulla casa, che è possibile vivere nel pollaio della vita non come galli o galline in conflitto, ma come amici dello sposo, che si rallegrano insieme per quello che hanno ricevuto dalla grazia di Dio. Se la mia preghiera è che nel pollaio di Caltanissetta continua ad essere questa festa nuziale, dove chi entra respira non lo scontro del pollaio, ma la gioia del ritrovarsi intorno allo sposo, e nel ritrovarsi intorno allo sposo, colui e colei che si gonfia il petto viene giustamente sgonfiato e colui o colei che si nasconde dietro la propria autocommiserazione viene incoraggiata a crescere. E in questa dinamica della grazia mostrare alla città che quando Cristo è riconosciuto come Re tutti trovano il loro spazio, tutti trovano la loro collocazione. E siamo oggi chiamati a festeggiare, in anticipazione delle nozze finali, la tavola alla mensa che lui al centro, Noi siamo invitati per la sua grazia. Se crediamo che Lui è il Messia, venuto per proclamare la verità di Dio, per realizzare l'opera di salvezza, venuto per chiamare coloro che sono sulla via della salvezza a ravvedersi e a credere in Lui, vogliamo pregare. Signore nostro Padre, grazie per aver inviato lo Sposo, il nostro Signore Gesù Cristo, venuto non in modo appariscente, e per questo bisognoso di essere indicato, mostrato, anche attraverso Giovanni, ma soprattutto attraverso la testimonianza della voce del Padre, e la presenza dello Spirito di Dio, che hanno attestato che Lui era ed è l'Agnello di Dio, il Messia di Dio, l'Inviato di Dio, il Figlio di Dio, il Salvatore del mondo, colui che è venuto a dare la sua vita per noi. Signore, in questi giorni anche di lutto per chi ha perso dei cari, in questi giorni di tristezza anche per i fatti di Ragusa contro questo bimbo Loris, in questi giorni di cordoglio per il marciume che regna nella nostra nazione, In questi giorni in cui, anche guardando a noi stessi e ai nostri cuori, con uno sguardo sobrio, vediamo il peccato che rialza la testa e cerca di inquinare le cose buone che Dio ha fatto, noi vogliamo ringraziarti per avere tu apparecchiato la festa di nozze, averla tu, Signore, organizzata, essere tu al centro, essere tu il protagonista. Davvero, nonostante guardando intorno a noi non abbiamo molti motivi per fare festa, oggi è un giorno di festa, per quello che Cristo ha fatto per noi, e per quello che Cristo, avendo fatto, compiuto l'opera della salvezza una volta per sempre, ci ha promesso che farà nel compimento dei tempi. Oggi è il giorno della festa. Ti prego per questa cara chiesa qui a Caltanissetta, affinché continui ad essere questo luogo in cui chi entra sovradimensionato trovi in Cristo un concetto sobrio di sé, e chi entra sottodimensionato, schiacciato, da sensi di colpa, o da esperienze negative, trovi nella grazia di Dio lo spunto per rialzarsi e servire, contribuendo al benessere della chiesa. E che la tua parola governi questa dinamica, e che il tuo spirito salvaguardi dai pericoli, e che la tua gloria sia l'orizzonte dentro il quale ogni cosa viene fatta. Grazie Signore per la grazia che mi fai oggi di essere qui e pensando anche a come nella tua grazia tu hai accompagnato questi cari anche nel traguardo di poter mettere fisicamente piede nel nuovo locale. Signore vogliamo rimanere davvero Vogliamo essere grati per quello che tu hai dato dal cielo, questo luogo fisico in cui la tua parola sarà annunciata, in cui gli ordinamenti della Chiesa saranno amministrati, in cui la disciplina del popolo di Dio si manifesterà. Voglia tu continuare a benedire la tua opera attraverso questi cari fratelli e sorelle, e voglia questa città conoscere un tempo di riforma nell'Evangelo, anche grazie alla presenza di questi cari fratelli e sorelle. Ti chiediamo tutto questo nel nome di Gesù Cristo. Amen.
Che io diminuisca e che Egli cresca
លេខសម្គាល់សេចក្ដីអធិប្បាយ | 1225141647368 |
រយៈពេល | 58:52 |
កាលបរិច្ឆេទ | |
ប្រភេទ | ព្រឹកថ្ងៃអាទិត្យ |
អត្ថបទព្រះគម្ពីរ | យ៉ូហាន 3:22-36 |
ភាសា | អ៊ីតាលី |
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